"SORBO '80"
E ora vi raccontiamo come andò
TANGO DEL CENOTAFIO
"SORBO '80"
E ora vi raccontiamo come andò
TANGO DEL CENOTAFIO
L'idea di riportare a casa almeno una «copia» del monumento. Grazie al Sindaco di Tagliacozzo anche Tagliacozzo lo aveva dimenticato, il povero cenotafio di Tito Tituleio Successo, seminterrato e capovolto nei giardini pubblici non destava curiosità. Era diventato una cosa, abituati a vederla là, da sempre, forse se ne sarebbero ricordati solo se una mattina, passando tra i vialetti, non l'avessero più trovata al suo posto. Succede spesso. Qualcuno la conosceva bene, amoreggia con quella pietra, per la precisione, dal 1938, quando propose di riportarla al luogo di origine a un grosso personaggio dell'epoca (oggi fingono di non averlo nemmeno sentito nominare, era un galantuomo e gli devono un sacco di cose, Sorbo gli deve la strada, l'acquedotto e la vecchia fontana, parlo di Ermanno Amicucci sindaco, deputato, giornalista con i cosi quadrati). Il colloquio non avvenne a Tagliacozzo ma a Roma, fra il gerarca famoso (ma sempre tagliacozzano) e un giovanetto che scriveva le sue prime cose sul Piccolo, diretto da un altro gerarca-giornalista abruzzese, Nino D'Aroma, che presentò il proprio pupillo ad Amicucci. Il discorso fu tenuto sul filo dello scherzo e delle battute, il ragazzo era spavaldo, ma quei due erano direttori di quotidiani e una certa soggezione la incutevano. Amicucci fu curiosissimo, fece un sacco di domande, chiese notizie precise, dilatò il fatto nella storia, saggiò le radici e la cultura dell'interlocutore, si divertì a certe storielle di paese e soprattutto a quelle, maligne, che lo riguardavano, era Piccolino e le battute sulla sua statura bassa erano infinite, il ragazzo gliene raccontò una serie, qualcuna inventandola sfacciatamente là per là, tanto che il gerarca se ne accorse e rispose con colorite parolacce italo-tagliacozzane, ridendo come un matto. Sempre scherzando, disse che Gattinara si sbagliava, che non era vero niente, figuriamoci se Taleacotium, Ducatus amplissimus caput Marsorum, poteva pavoneggiarsi con una pietra
sorbese! Il fatto è che nemmeno se ne pavoneggia, perché la tiene abbandonata alle intemperie, coperta di terra e di muschio, obiettò il ragazzo, e concluse ironicamente (eravamo in piena orgia di romanità): « Se lo sapesse il Duce! ». Il grande giornalista, mandò a quel paese sia il Duce che il ragazzo e il discorso fu piantato là. Ma non il ricordo di quella pietra. Passò qualche anno e il giovanotto non aveva ancora tentato di vederla bene, avrebbe dovuto zappettare, raschiare, pulire, dando nell'occhio a qualcuno. Non osò farlo né allora né mai. Poi venne la guerra e le pietre, non per fini archeologici, furono scavate dalle bombe, compreso il villino del giovane giornalista, che si ritrovò un tombino di ferro delicatamente deposto sulla, scrivania. La memoria di certe cose è lancinante, dopo aver visto i genitori impolverati ma vivi e contemplato i rottami (c'era restato sotto, triturato, anche il primo Faulkner arrivato in Italia), il nostro amico corse a perdificato in un'altra zona a vedere se aveva avuto danni la casa di una ragazza a lui cara (caso strano, sorbese). Si pensava a spararci fra noi e a sopravvivere, eppure, malgrado tutto, correva tra la gente un filo di strana solidarietà, si viveva pubblicamente, ritrovando da antiche paure. In necessità di darci una mano, magari per stroncarcela il giorno dopo, chi potrà mai spiegare certe contraddizioni? Stiamo portandola alle lunghe (eppure, poco fa, il tipografo ha detto chiaramente al telefono che lui, a Ferragosto, se ne frega di Sorbo e della sua storia e che pianta tutto e che siamo degli incoscienti e che trentasei gradi all'ombra, e che...). Insomma, siamo ai giorni nostri. Il ragazzo — dopo vent'anni — torna a Sorbo. Come, il rcigazzo? Ma, nel frattempo, non è cresciuto? Risposta secca, no! Dicevo che il ragazzo torna un giorno al paese dei suoi genitori (i quali, ormai, tenendosi per mano, fanno il girotondo con nonno Tituleio e nonna Sestunia, e raccontano le loro storie a quei ragazzi segnati sul monumento e tutti insieme li sentono la emozione degli spari che volavano nel sole di luglio appena il prete aveva cantilenato l'ultima reliquia di Santa Elisabetta, protettrice di questo luogo: sei note identiche, poi tre finali in levare, Isattere, levare) . E' un pellegrinaggio d'amore, i ricordi lo stroncano, se ne va, torna ancora.. E ritrova la pietra, alla quale qualcuno — finalmente! — ha riservato lo stesso suo amore: se l'è coccolata, l'ha ripulita, le ha dato per casa l'atrio del Municipio, Je ha messo la targhetta con le parole tradotte per benino. E' contento e incazzato insieme. Importante, comunque, è che l'abbiano allogata. Il giovanotto, però, sparge intorno la notizia: la pietra, il cenotafio, è sorbese, fu trovato a Sorbo da Tizio, il giorno tale dell'anno tale. Qualcuno ricorda vaghe notizie, i pronipoti dello scavatore di allora parlano delle pietre trovate nello stesso posto, quando costruirono la nuova casa. Il nostro amico consulta libri, fruga tra le carte, raccoglie prove e quando il ferro è caldo e la cosa risaputa, lancia l'idea di riportare a Sorbo il suo prezioso reperto
archeologico. Tagliacozzo? Adiamo le vie del Tribunale amministrativo regionale? Via, non facciamoci ridere dietro, non alimentiamo le già divertenti cronache paesane: facciamo fare una copia del cenotafio — sia pure approssimativa — collochiamola bene in vista nella piazza, mettiamole dietro una scritta che oltre a ricordare il fatto spieghi un po' qualche cosa, e il problema è risolto. Ma il travertino, la copia, i l bronzo, le pietre, il cemento, insomma tutti questi soldi? Gaetano Blasetti è un uomo simpatico: che sia, anche Sindaco di Tagliacozzo ci dà modo di constatarlo e di dargliene atto. Quindi ci assicura i l contributo del Comune alla operazione archeologico – riappropriativa - commemorativa, fatta senza guerre dei bottoni e con grande spirito di amicizia e di comprensione. L'originale, dunque, a Tagliacozzo (abbasso i Borbone!) e la brutta copia a Sorbo, ma che almeno si sappia com'è andata la cosa.
Massimo Di Massimo
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