"SORBO '80"

Il rischio di avere vent'anni

Si corrono inevitabilmente dei rischi facendo un giornale come questo, specialmente se è un numero unico: o si scade nella goliardia o nel parrocchiale per voler essere ridanciani e spiritosi ad ogni costo, o si diventa declamatori e trionfalisti del genere governativo, inaugurazione - trafori - e autostrade (« le ambite mète, i traguardi conseguiti, la ferrea volontà realizzatrice, le ardite speranze», ecc.), o, infine, si rende il giornale praticamente illeggibile, trasformandolo in un regesto di fatti e di note contabili, una specie di secca e noiosa partita doppia con tanto di entrate e di uscite e magari con un piccolo saldo attivo da utilizzare l'anno prossimo in spari, bande musicali e luminarie.

Vogliamo darci delle arie? Diamocele, dunque, e diciamo chiaramente (né iattanza né umiltà) che corriamo volentieri quei rischi con incosciente serietà, preoccupati solo di dare a chi legge un « prodotto bilanciato », cioè una calibrata miscela di ingredienti apparentemente eterogenei, per dire (è la prima volta nella storia!) qualche cosa su questo paese, sulla sua gente e la sua storia, fornendo informazioni precise ma anche motivi di umorismo e di riflessione, bilanci contabili e ipotesi di programmi, cronache un po' leggendarie e spavalde e rivelazioni di prima mano.

Non potevamo certo sostituirci alla stampa tradizionale né surrogare — in otto paginette — la saggistica di stampo universitario saccente e serioso; non si viene a cercare qui l'ultima notizia di cronaca o la dotta analisi strutturale della lingua degli Equi preromani, in relazione al corrente « parlato » sorbese. Tuttavia, se i mezzi di comunicazione di massa provvedono a soddisfare largamente la domanda di notizie (magari distorcendole o adattandole agli interessi di chi le fornisce e di chi le porge), questo giornale ha il dovere di

« raccontare », sia pure in pezzi sintetici e non ordinati fra loro, quando e come nasce, si forma, cresce, decade, ma ancora regge, una contrada dì poche case e di pochi abitanti (da un minimo di ventuno a un massimo di trecentoottantasei), che cosa rappresenta nel territorio di cui fa parte, chi e quando neparlò in pubblicazioni, atti pubblici e in documenti d'altro genere, quale collocazione ebbe storicamente nel tempo, maiuscola o minuscola che possa essere stata.

Si è trattato in sostanza di mettere insieme una serie di fotogrammi, da guardare separatamente, ritagliati con libertà frettolosa da un film più ampio, sistematico e divertente, cioè dal libro che non siamo riusciti a pubblicare in tempo utile e di cui diamo notizia in altra pagina.

E' anche un atto d'amore verso questa gente scontrosa e taciturna, il mantenimento di una lontana promessa al nostro struggente « posto delle fragole », tornavamo qui un tempo, a lunghi intervalli, a rivedere « qualcuno », scolorivano nel fumo dei camini, tra le pietre e le strade di polvere e fango, nell'odore delle stalle e del pane sfornato, i cascami di un mondo che ci sembrava tutto nostro per diritto di preda.

Infine, è una sfida all'indifferenza e magari all'ironia di chi ci accusa di amare troppo « certe cose », la colonna miliaria, il cenotafio romano, il monumento ai caduti, la fontana, ma non sa offrirci un'alternativa che non sia il « benessere », padre di un robot che si chiama progresso, nonno di un mostro che ha nome consumismo.

Noi non siamo gli ultimi apostoli ostinati di una religione morente, i conservatori di un museo di ricordi, i nostalgici di remote, ipotetiche verginità, al contrario. siamo gattopardi, ma vincitori, abbiamo sempre vent'anni, la nostra fioritura è perenne, divoriamo pane e vita ogni giorno, portiamo pochi «messaggi» ma immense riserve di amore corale.

Massimo Di Massimo


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